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Psicologia del Limite, per affrontare quell’area della propria vulnerabilità psicofisica, in quella difficile esperienza affettiva sintetizzata nel termine oncologico o patologia organica grave.

Noi esseri umani siamo fatti per la vita, e questa dimensione ha sempre con sé anche l’altra, un territorio depressivo, dove ci si può chiudere in sé stessi, dove si vive la paura dell’abbandono e dell’abbandonarsi, impedendo di fatto possibili altre letture di ciò che avviene.

In questo assetto, un intervento psicoterapeutico, può avviare un processo di sviluppo delle capacità di simbolizzazione, una riorganizzazione della capacità di pensarsi.

L’attività psicoterapeutica individuale e/o di gruppo, è importante per fare un’elaborazione dello stato depressivo, per trovare strade per uscirne fuori ed allora diviene rilevante acquisire capacità d’elaborazione della depressione aprendo la strada alla partecipazione del prendersi cura di se stessi e/o degli altri, riorganizzando la speranza.

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DALLA DISPERAZIONE ALLA SPERANZA PASSANDO PER IL “CODICE VIVENTE

 

Dott. Alberto Stilgenbauer

 

 

Nella nostra esistenza delle volte abbiamo a che fare con situazioni altamente critiche, incontri di una violenza così forte da farci cadere in una condizione assoluta di un’impotenza terrificante da cui è impossibile sottrarsi.

Queste situazioni, possono far cadere nella disperazione, nella depressione; alcune sono situazioni che nel ciclo di vita dell’esistenza avvengono inevitabilmente: un lutto, una malattia grave, un abbandono, un’incidente, ecc.

Ci sono tantissimi modi di affrontare una crisi, ma è la modalità di come l’affrontiamo a fare la differenza; molti reagiscono a questa caduta dell’esistenza nel buio più oscuro della disperazione; in queste persone inizia a radicare un sentimento, una percezione vaga, ma al contempo misteriosa che ha a che fare con la nascita, con il nascere nell’esistenza offesa, una radice inestirpabile che ha a che fare con la vita, e che possiamo chiamare anche speranza, magari non la speranza di ripristinare uno status quo ante, ma la speranza del cambiamento, di come costruire un nuovo assetto psichico, una riorganizzazione adeguata alla situazione di baratro che si sta vivendo.

Qualcuno dice che la speranza è l’ultima a morire, ma direi che la speranza è un occhio nel futuro, c’è sempre stata, già prima della nascita; dal concepimento d’ognuno di noi; la speranza è sempre presente, ed ha che fare con lo scintillio della prima costruzione dell’esistenza, ce ne accorgiamo quando siamo obbligati a uscire fuori dal consueto, ed allora il tempo assume un altro significato, diviene qualcosa che trascende la misurazione algebrica dei minuti.

In questo stato, il tempo assume l’assetto della densità, una densità esistenziale che ci riporta nelle nostre profondità psicofisiche, biologiche, genetiche, allora siamo in contatto con ciò che è sacro, che produce vita, che non si confonde, ma che fonde il presente con il passato, gli affetti, le sensazioni, quella profondità di noi che riprende a scrivere se stessa, che racconta con il suo riprodursi chi siamo, ciò che desideriamo e di cui ne apprezziamo il valore.

Vedete, la parola psicologia è composta di due segmenti che derivano dal greco psyche e logia – logos, ossia discorso; spesso la parola psicologia viene deformata concettualmente per paura di affrontare la specificità dell’essere umano, tradotta utilizzando il latino, la parola psicologia, vuol dire anima e discorso, “discorso sull’anima”.  

La parola psiche, guardata sotto l’aspetto di anima crea delle forti difficoltà, perché sfugge all’imbrigliamento scientifico, alla riduzione all’uno di ciò che è complesso, quale l’esistenza di una persona.

La psiche (ossia anima alla latina) non si tocca, non ha sapore, e né colore, né suono, non si vede, non si capisce se non dai frutti che porta con sé, e questi sono leggibili solo in termini relazionali, quindi tra persone, se non addirittura in una relazione interna anche di un singolo e stesso individuo; qui il colore degli affetti e delle relazioni e riproducono in sé le matrici genetiche di “Codice Vivente”, come indicato e elaborato da Franco Fornari[1].

Strano, non riusciamo a vedere la psiche scientificamente se non legandola al corpo, e la misuriamo sul corpo, sui potenziali d’azione, sul minimo di distanza non confondente tra due contemporanei input sul corpo, e non come espressioni di relazioni affettive. Dimentichiamo che parlare di relazioni affettive ha a che fare con scambi di emozioni, si sensazioni, ossia la nostra vera realtà psichica cioè il Modo di Essere Inconscio della Mente (Ignacio Matte Blanco)[2], ciò che ci costituisce da sempre in noi, un universo di universi di costellazioni nate dall’incontro di messaggi sempre presenti; qualcuno li chiama spirito, altri anima, altri semplicemente vita, desiderio di una speranza che non ce la fa a rimanere compressa nell’esprimibile e che attiva la vita, perché la speranza è vita, una promessa e un’attesa della vita nel suo procedere; e nella disperazione avviene un’improvvisa accensione di una micro-luce che irrompe nelle tenebre della non vita, del non esistente.

Bene tutto ciò l’abbiamo in noi e non ce ne accorgiamo, tutto ciò viaggia con noi, lo nascondiamo inconsciamente anche a noi stessi, ma lo possiamo riscoprire nel divenire completamente consapevoli d’esistere, di generare, di trasformare, di far vivere ciò che vivo non è.

Quando arriviamo in quel che si chiama fondo, e siamo nella disperazione, allora è molto probabile che abbiamo una reazione d’esserci, in effetti morte e vita esistono solo insieme e parlare dell’una inevitabilmente conduce in sé anche l’altra; trovarsi nella tetra disperazione, ha in sé le potenzialità dell’esplosione e dell’espansione dell’esistenza, andiamo oltre il nostro corpo, si, rimaniamo ancorati a lui, con i piedi in terra, ma il terrore della disperazione non ci soffoca più, abbiamo avuto un’esperienza di speranza vera, vera perché scopriamo proprio quell’universo interno a noi dove lo stesso corpo vive nel vivere la speranza di dissetarsi sapendo che non avrà più sete.

Tutto ciò può avvenire se dalla disperazione, ci accorgeremo che la speranza c’appartiene da sempre, come da sempre i codici dialogici genetici continuano ininterrottamente a esprimersi riproducendo ciò che, sempre Fornari, chiamava la “buona famiglia Interna”, perché nel nostro profondo, i padri sono figli/e i figli/e sono padri, madri, sorelle, fratelli, e questo l’abbiamo inciso nei nostri geni da sempre.